I libri Effigi su Manciano, Pitigliano, Sorano.

Sul pane non ci si sputa

Racconto della Prof.ssa Eleonora Mengoni

Dietro il vetro zigrinato le due figure si muovono a scatti. Di tanto in tanto una sembra avanzare e ogni volta Luciano ha un  sobbalzo. Ma poi non accade nulla, la conversazione continua e quella porta non  si apre.
I toni e volumi delle voci sono variabili, troppo, ed è impossibile cogliere anche solo un brandello di quel consulto. Solo alcune parole: turni, operai, paga, vagoni, avanzamento…Troppo poco per accendere la speranza, soprattutto quando la paura della disillusione è lì, in agguato.

Minatore di Niccioleta, 1950-60 (Archivio Banchi)

Minatore di Niccioleta, 1950-60 (Archivio Banchi)

Luciano non sa da quanto tempo è lì. E poi, fossero anche solo dieci minuti, per lui è già troppo. Non sa stare fermo, Luciano, anzi, non sa neppure come sedere. Vorrebbe aspettare in piedi, ma teme di apparire impaziente e irrispettoso, e, una volta seduto, non riesce neppure ad assumere la postura decente: dopo i primi patetici tentativi di stare con le spalle erette, finisce di nuovo per allargare le gambe e flettersi in avanti, con quelle mani che non sa proprio dove mettere. Gli sembra che il modo più dignitoso, invece di tenerle ciondoloni tra le gambe, sia quello di appoggiarcele sopra, ma poi gli ci cade l’occhio: un’unghia pesta e una spezzata, le nocche che finiscono sempre per sollevarsi e tradiscono la forma rattrappita dell’incavo, la forma ampia del palmo, le dita tozze e quelle macchie che proprio non ne vogliono sapere di venire via. Chissà, forse con la lisciva…No, non è proprio un bel vedere, il confronto con le mani ben curate e chiare del caposervizio e del direttore sarà schiacciante. Certo, almeno le screpolature potrebbe evitarle, basterebbe un po’ di crema. Mimma glielo dice sempre:”Metticela la Nivea la sera, quando vai a letto, che la notte un po’ te le ammorbidisce, codeste mani”. Luciano sa che sua moglie ha  ragione: sono ruvide le carezze di un minatore, ma a lui la crema sembra una roba da donne e poi, con quel profumo addosso, si sente a disagio.
Luciano ora non ce la fa proprio più: si affaccia alla finestra. Piove a dirotto. Se continua così, per arrivare al bivio, alla fermata del camion degli operai, si zupperà tutto e con il fango che troverà, arriverà a casa tutto inzaccherato. E Mimma, lo sa già, metterà subito i panni in bagno. Così questa settimana farà il bucato anche domani, che è giovedì, oltre a quello solito del lunedì. Sempre così: la domenica, che ci si potrebbe riposare e svagare un po’, lei tutto il giorno a pulire la casa e la sera, a mettere il bucato in bagno a digrossare, nella pila di quel terrazzo sempre battuto dalla tramontana. Per Mimma la giornata è fatta solo di lavoro, non si concede neppure un piccolo svago, quattro chiacchiere con le amiche. Eppure Luciano ultimamente è sollevato nel vederla così.
Hanno passato un brutto periodo. Sua moglie, dopo la disgrazia, è rimasta per due mesi ammutolita, senza più forze: si alzava tardi la mattina, tirava via con le faccende e stava lunghe ore in cucina, nell’angolo, con la mano appoggiata sulla fronte, a fissare il pavimento.Senza parole e senza lacrime. Ma ultimamente, da quando ha colto uno sguardo critico di una vicina e un paio di battutacce dalla suocera sulle condizioni in cui si era ridotta quella casa, che prima era così linda, pareva essersi risvegliata.
Del resto, alla sua casina, Mimma ci ha sempre tenuto. Solo che ora non ha mai tregua e non smette mai di lustrarla. – Meglio così – aveva pensato Luciano nel vederla così impegnata – forse comincia a reagire. Una sera di qualche giorno fa aveva sentito anche i suoi singhiozzi: era lì in salottino, con in mano la foto del funerale. Una bara bianca e un lunghissimo corteo. Mimma e Luciano avevano apprezzato il pensiero del fotografo di lasciargli un ricordo della partecipazione di tutto il paese al loro dolore.
Certo, niente avrebbe potuto restituirgli il loro bambino, ma il calore e l’affetto di amici e conoscenti un po’ li consolava. Claudio, un bellissimo bambino, portato via da un male che non perdona, rapido quanto crudele. Non aveva ancora tre anni… I primi sintomi solo pochi mesi prima, quando, sul cavallino a dondolo, cominciò ad accusare strani mal di testa. Mimma non si perdona di non averlo sospettato subito, di aver pensato a banali vertigini, ma in realtà neppure i medici avevano preso sul serio questi malesseri e così la diagnosi era stata ritardata. Chissà, se l’avessero capito subito… Certo, secondo i medici del Gaslini non sarebbe cambiato molto, forse l’agonia si sarebbe solo prolungata, perché sarebbero sì riusciti ad operarlo, ma quando si va a toccare il cervello…Mimma era stata forte durante il ricovero del bambino, brava a non farsi mai vedere piangere da lui, a coccolarlo e farlo giocare come poteva, in quella camerata d’ospedale. Luciano la guardava e pensava: – Crollerà dopo…E invece i suoi occhi erano rimasti asciutti fino all’altra sera, di fronte a quella foto. Quando Luciano la vide così, avrebbe voluto abbracciarla, ma ebbe paura di mettersi a piangere con lei. E poi, se si fosse di nuovo bloccata, chissà quando sarebbe di nuovo riuscita a sfogarsi…Allora  fece finta di niente e si allontanò.
Quel dolore loro due potevano viverlo solo così, ognuno per conto proprio, con il pudore con cui avevano vissuto finora gli altri affanni, e persino le gioie, del loro matrimonio. Luciano, poi, una volta uscito di casa, ci riusciva davvero a distrarsi. Il lavoro gli chiedeva un’attenzione totale per rispettare i tempi, sincronizzarsi con i compagni, captare i pericoli. Ci voleva anche tanta precisione, soprattutto quando lo facevano lavorare come fochino. E per fortuna l’impegno delle braccia assorbiva tutte le energie e impediva alla mente di pensare. Senza contare che il lavoro lo faceva sentire utile. Sì, perché ora c’era comunque da pensare al futuro, a quel debito, e a lavorare per saldarlo più presto possibile. E poi, tolto quel pensiero, quando Mimma si fosse ripresa, lui gliel’avrebbe proposto. Ci avrebbero riprovato. Gliel’aveva detto anche il dottore: “Riprovateci, finché siete giovani. Le forze torneranno”. Dopotutto Mimma era una donna minuta, magrolina e ora molto abbattuta, ma sana. Le forze torneranno, ma intanto…Dietro la porta il volume delle voci si alza, una delle due diventa distinguibile:”Allora, mi faccia sapere!” La sagoma si fa più scura. Una mano sulla maniglia. Luciano avverte d’un tratto che la bocca gli si è fatta asciutta.

“Buongiorno, Mengoni, e di nuovo condoglianze” il Direttore lo saluta e subito la sua figura sfuma nel lungo corridoio, mentre il caposervizio, con una cordialità persino eccessiva, finalmente lo fa entrare:
“Venga, Mengoni”
“Permesso”
“Si sieda”
“No, non importa, sono stato a sedere finora. Mi dica.”
“Si sieda, le dico. Le devo fare una proposta”.

Luciano si siede, cercando di tenere dritta la schiena, come Mimma gli raccomanda sempre di fare quando parla con i superiori.
“Mengoni, la Società è molto addolorata per il suo lutto. Il direttore mi ha pregato di manifestarle la nostra piena comprensione e solidarietà. La Montecatini è sempre sensibile alle situazioni di sofferenza dei suoi operai…” E qui Luciano deve inghiottire il boccone amaro. China la testa e annuisce.
“…Sappiamo che al momento ha delle difficoltà economiche e vogliamo venirle incontro. Dopotutto, in questi due mesi, lei ha dimostrato di saper reagire e ha lavorato con più lena che mai. E’ su gente come lei che la nostra Società vuole contare. Perciò Mengoni, se lei accetta, noi le affidiamo un tratto di galleria da lavorare a cottimo. La paga è buona, 300 lire a vagone. Che ne dice?”
Luciano si apre al sorriso, si sente lusingato. Quella voce dentro che urla rabbia e rancore è sopraffatta da un entusiasmo prepotente, dalla voglia di sperare ancora.
“Io… non ho parole. Grazie, grazie”. Con un nodo alla gola Luciano si avvicina al caposervizio e gli stringe la mano con vigore.
L’altro risponde con la solita stretta molliccia e con un “Si figuri” di circostanza, ma lui si rifiuta di registrare questo dettaglio stonato. Per Luciano è il primo giorno, dopo tanto tempo, che ha voglia di tornare a casa. Si sente pieno di fiducia, di progetti per l’avvenire. Il tratto di strada tra la palazzina della Montecatini e il bivio lo percorre come in un sogno. Attende un po’, ma poi realizza che anche l’ultimo camion è partito. Non rimane che avviarsi a piedi. Da Niccioleta a Massa sono pochi chilometri, anche se dopo il turno e sotto la pioggia non sono proprio una passeggiata. Ma via, ci sono stati tempi peggiori, quelli in cui quel percorso doveva farlo a piedi tutti i giorni, andata e ritorno. Ora piove a dirotto ma Luciano non sembra proprio accorgersene. Non avverte neppure i brividi che gli percorrono la schiena. La mente corre a casa più veloce di lui: lo dirà subito a Mimma e forse le strapperà un sorriso. Prova a fare e rifare i conti mille volte, ma a mente non ci riesce: quanto tempo ci vorrà a saldare il debito? Senza il cottimo di sicuro ci vorrebbe più di un anno, ma  così forse, in pochi mesi…E poi tutto cambierà. Mimma piano piano abbandonerà il dolore. Sua sorella partorirà tra due mesi e lei andrà ad aiutarla. E le tornerà la voglia di provare…Se poi gli lasceranno quel contratto – e lo faranno, sì che lo faranno, perché lui ce la metterà tutta per dimostrare che è proprio bravo – poi potranno permettersi anche qualche cosina in più. Magari la mobilia per il salottino o una gita a Firenze, a fare il viaggio di nozze che hanno sempre rimandato.
-Come ha detto il caposervizio? E’ su gente come lei che la Società ha deciso di contare! Luciano sente e risente dentro di sé quelle parole, le assapora e cerca di annullare il retrogusto amaro che gli procurano. Non può non sentirle false ma oggi è un giorno particolare e non vuole proprio pensarci.
Arriva a casa e Mimma gli viene incontro per le scale. E’ lì ad attenderlo, come succede sempre quando torna in ritardo. Appoggiata alla ringhiera, sola con il suo patema, con il timore che possa essergli successo qualcosa. Stavolta non ha motivo di temere l’incidente, il vicino di casa l’ha avvertita: “Gli vuole parlare il caposervizio”, ma lei non è convinta e poi ha altri pensieri: il temporale, quella brutta tosse, il buio che tutto inghiotte. E quando finalmente lo vede, si accorge subito del fremito che lo percorre e sa anche dargli un nome preciso, quello che Luciano si rifiuta di assegnargli: è febbre. Mimma lo fa spogliare, lo manda a letto e, rimandando ogni spiegazione, si mette a preparargli il brodo. Ma Luciano non sta più nella pelle e dopo poco si alza e la raggiunge in cucina. Tutto d’un fiato le racconta dell’offerta del caposervizio. Peccato che la reazione di Mimma non è quella che lui sperava: “Che bastardi! Ora ti dicono che ti vogliono venire incontro… Ma non lo capisci? Lo fanno con tutti: con Sozzi, Martini, Banchi… A  tutti l’hanno proposto il cottimo.  Persino al marito della Fazzini, che è entrato in miniera due anni fa. Sono dei falsi, lo fanno perché gli torna comodo a loro e con te vogliono anche farsi belli…”
Luciano si accascia sulla sedia. Non riesce ad arrabbiarsi, né a replicare. Dentro di sé lo sapeva che era così. Ma non aveva voluto crederci. Gli sembrava una bella forma di risarcimento. Ma non hanno cuore, quelli. E’ vero, sanno parlare, salvare la faccia, ma non hanno sentimenti. Non li hanno avuti quando Luciano era con l’acqua alla gola ed era andato a supplicarli:
“Per piacere, il mio figliolo sta per morire. I medici mi hanno detto che è questione di giorni, forse di ore. Nemmeno a Genova sono stati buoni a salvarlo. ‘E’ un brutto male, può solo uccidere’, ci aveva detto il dottore, ma noi s’è voluto provare e s’è portato al Gaslini. E ora rischia di morire là, il mio Claudio. Mia moglie non potrebbe nemmeno portargli i fiori al cimitero. Allora un medico di lassù ha detto che ci vuole aiutare: prenderemo l’ambulanza per trasferirlo all’ospedale di Massa. Anche se muore nell’ambulanza, potremo lo stesso seppellirlo qua. Però l’ambulanza costa: mi hanno chiesto 10000  lire. Ho bisogno di un anticipo dalla Società. Farò tutti gli straordinari che vorrete…”
Luciano aveva parlato tutto d’un fiato, con le lacrime agli occhi, ma il caposervizio non aveva manifestato la minima commozione alle sue parole. Si era solo fatto pensieroso, aveva preso il libro del personale e si era messo a sfogliarlo: “Mengoni, lei ora è in difficoltà e io lo capisco. Però io qui vedo tre scioperi, la tessera sindacale, il rifiuto a collaborare… Ora, ci vorrebbe un atto di buona volontà da parte sua. Nella sua squadra mancano persone di fiducia, che hanno a cuore la produzione e il buon nome della Società. Noi possiamo aiutarla ma lei deve fare qualcosa per noi…”
– No, il ruffiano, no, mai. Questi bastardi non mi strapperanno questa promessa, nemmeno ora. Per avere un favore dovrei fare la spia, essere costretto a vedere negli occhi dei miei compagni il disprezzo per il doppio gioco…
Neppure quel dolore aveva piegato Luciano. Senza nemmeno rispondere se ne era andato, sbattendo la porta.
Fuori, l’incontro con il Ceccarelli e l’inatteso consiglio: “ Vai da Rustici, quello dello spaccio, lui guadagna bene ed è massone. E’ anche una brava persona, ti aiuterà.” La corsa, il racconto confuso e concitato dei fatti, lo sguardo di uno che, appena conoscente, si era velato di lacrime. E l’assegno, subito. Solo sulla fiducia. Luciano lì aveva ripreso un po’ di coraggio: c’è ancora della brava gente, dopotutto. Sì, gli avrà fatto pena e senz’altro è uno che se la passa bene, ma il denaro non “cola” a nessuno. Eppure ha avuto cuore. E’ per questo che lui ora si sente doppiamente in debito.
Luciano si mette a letto, arreso alla febbre. Per fortuna il giorno dopo è di festa e ha tempo di riprendersi, prima della prossima “gita”. Passa la giornata in totale silenzio. Mimma fa avanti e indietro dalla cucina alla camera per portargli il thè, le pezze fredde, lo sciroppo. Non parla neppure lei, ha rinunciato ad esprimere la sua rabbia, appare rassegnata. Luciano si sveglia nel tardo pomeriggio. Ha dormito profondamente, con un sonno senza ricordi. E al risveglio, invece della solita amarezza, ha ritrovato i suoi sogni, quelli nati  nel percorso da Niccioleta  a Massa, sotto quella pioggia torrenziale e benedetta. Sa cosa vuole. Chiama Mimma, cercando di dare alla sua voce l’intonazione più morbida possibile. Le dice che si sente sfebbrato, prova a farle una battuta, le prende la mano. Mimma ha ragione: la Montecatini è stata spietata e cinica, ma lui saprà farle capire che è pur sempre quella che gli dà il pane. Il pane e la speranza nel futuro.
E su questo non ci si può sputare.

Eleonora Mengoni