I libri Effigi su Manciano, Pitigliano, Sorano.

Antonio Becherini

Pitigliano_2015_08

Foto Wikipedia

Poche sono le notizie sulla vita del poeta dialettale “Ntognu Berni”, come amava farsi chiamare il pitiglianese Antonio Becherini. Egli nacque a Pitigliano il 20 agosto 1858. Lavorò dapprima presso l’ufficio telegrafico, poi come appaltatore delle Imposte di consumo. La sua formazione culturale furono i corsi scolastici del tempo, la passione di autodidatta e soprattutto la sensibilità nell’ascoltare ed esprimere in maniera satirica, ma anche piena di sentimento, fatti e personaggi del suo paese.
Conscio dell’importanza della satira, quale mezzo espressivo di protesta ed educazione, il Becherini scrisse che: “…quando i popoli resi schiavi da un lungo servaggio non avevano la conoscenza della missione, allora sorgevano giornalmente voci isolate che, nascondendosi nelle statue di Pasquino e di Marforio, gittavano ai tiranni la protesta dei deboli”.
Morì nel novembre 1907 a soli quarantasette anni. La raccolta dei suoi versi in dialetto pitiglianese[1], dal titolo Picinate e Scemmarate, fu apprezzata da Trilussa che la ricevette in omaggio dalla famiglia nel 1947. Il libro si colloca nella tradizione comico-burlesca e vernacolare tipica dell’Italia centrale nella seconda metà dell’Ottocento, secondo una tradizione rinnovata in epoca romantica da Gioacchino Belli, alla cui opera il Becherini si avvicina sia per la preminenza del sonetto, sia per il trattamento satirico di molti temi. Picinate e scemmarate vuole fin dal titolo proporsi come carnevale, come rovesciamento dei valori borghesi dominanti nel secolo XIX. Il sonetto presentato affronta con intenzioni satiriche un argomento d’attualità: la progettazione della ferrovia che avrebbe dovuto collegare Orvieto a Orbetello, mai realizzata. Dopo una lunga serie di domande si arriva alla soluzione finale: l’imminenza delle elezioni giustifica la progettazione della ferrovia.

 

La Ferrovia
Volivo dì: che ddiavulu faranno
Quell’ingegneri ‘n cima de i’ Ppantanu
Con quelle bbiffe? Ch’armanaccaranno,
Tie che ssai lèggia, e cche non zei villanu?

Ll’ho ‘ntesu arravaglià jò ppe’ Ccoranu;
Ci mettono i’ vvapore e, ‘nfra quaigg’anno
Potaremo ggirà Roma e Milanu.
Ci credi tie? Chi sa che nnasparanno….

Cusì m’ha dettu anche i’ zzor Vincenzu;
Dice che la faranno in ddu’ bballetti
Co’ la stasione verzu San Lorenzu.

Adesso ci arrifletto! Che stasione,
Che ttrenu vai cercanno? So’ ggiochetti!
Nun zai che pprestu semo all’elesione?

 

Traduzione in prosa:
Volevo dire: che diavolo faranno quegli ingegneri in cima al Pantano (località vicina Pitigliano), con quelle biffe (paline per le rilevazioni)? Che almanaccheranno, (dimmelo) te che sai leggere e che non sei villano? L’ho sentito dire giù al Corano (altra località vicino Pitigliano); ci mettono il vapore (il treno) e fra qualche anno potremo girare Roma e Milano. Ci credi te? Chissà che annasperanno? Così m’ha detto anche il sor Vincenzo; dice che la faranno in due balletti, con la stazione verso San Lorenzo (comune in provincia di Viterbo). Ora ci rifletto! Ma che stazione, che treno vai cercando? Sono giochetti. Non sai che presto siamo alle elezioni?

Franco Dominici

 

Note
[1] Il dialetto pitiglianese appartiene ad un’area linguistica di confine. Nella carta dei dialetti di G.B. Pellegrini il paese si trova esattamente sulla linea di demarcazione del toscano dal dialetto mediano (linea che parte da Talamone, passa poco al di sotto di Perugia e giunge a nord di Ancona), in particolare tra le aree del toscano grossetano-amiatino e del mediano umbro meridionale-occidentale viterbese. Tra i fenomeni fonetici più evidenti si segnala il particolare vocalismo finale in U.