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“Oltre i cento passi”: un ricordo indelebile di Peppino Impastato

20181116_210208Era venerdì 16 novembre quando ho incontrato Giovanni Impastato, presso la sala del Consiglio Comunale di Manciano. L’incontro è stato possibile grazie a Carlo Legaluppi, scrittore grossetano ma di origine mancianese. Carlo, grazie all’aiuto dell’amministrazione comunale, è riuscito a far arrivare Giovanni Impastato nella nostra zona per presentare il libro “Oltre i cento passi” – scritto in occasione dei quaranta anni dall’uccisione di Peppino Impastato –  e organizzare incontri con studenti, associazioni e cittadinanza. C’era un vento forte in paese, era una delle serate più fredde di questo autunno, eppure assomigliava ad un fermento, ad una vitalità incontenibile. La stessa vitalità che ti cattura guardando gli occhi di Giovanni Impastato. Questo signore siciliano, dai modi affabili ma decisi; uno che ti fa capire il senso della fermezza e della volontà. Dentro di lui percepisci una forza pari a quella del vento che sbatte sui muri delle case e per le vie. C’è in lui la forza della parola. Narrare è umano e quando si vuole testimoniare di qualcuno che ha sovvertito regole e sistemi, che ha dato la vita per degli ideali, allora non c’è niente di più umano. Nell’intervista, così come negli incontri, si è parlato di molti argomenti; si sono alternati momenti di emozione a momenti di riflessione. Esempi di vita, ideali da condividere, gesti da ricordare. Di seguito riporto l’intervista che mi è stata gentilmente concessa da Giovanni Impastato.

Signor Impastato questo è il secondo giorno che si trova nella nostra zona, questa mattina ha anche fatto un incontro con gli alunni delle scuole medie, cosa pensa della Maremma? Che impressione le ha fatto la nostra terra?
Ho avuto un’impressione positiva, possiamo considerarlo un bagno di cultura vero e proprio, sono stato a contatto con l’arte di questo territorio, ho potuto apprezzare le meraviglie di Saturnia e Montemerano. Per quanto ho potuto vedere ho trovato dei luoghi tenuti molto bene, quindi amministrato bene per alcuni aspetti, per quanto è possibile capire in così poco tempo. Positivo anche l’incontro con i giovani, ho trovato dei ragazzi preparati ed educati, affascinati dalla storia di Peppino. Quindi se uno si trova davanti queste situazione non può che avere un’opinione positiva. Manciano mi ha fatto un’ottima impressione.

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Veniamo alla prima domanda. Lei spesso si è rivolto e si rivolge alle scuole, al mondo dell’educazione, ai giovani. I docenti come dovrebbero passare il messaggio di Peppino? Quale eredità devono trasmettere ai loro studenti?
I messaggi di Peppino sono tanti, quello positivo dell’impegno civile, di lotta e di rottura con il sistema mafioso, la rottura con la famiglia mafiosa. L’altra cosa importante di Peppino è stata la battaglia sul territorio; gli insegnanti dovrebbero cercare di legare i ragazzi al territorio, trasmettere la cultura del controllo, soprattutto la salvaguardia della bellezza. Questo è un messaggio importante, pensiamo a quando Peppino descrive le curve dell’autostrada nel film i Cento passi, in maniera ironica dice che sono provvidenza divina invece sappiamo benissimo che le curve dell’autostrada più che provvidenza divina è lo Stato che si piega alla mafia. Coinvolgere i giovani alla cultura, alla musica, alla lettura soprattutto, quello che faceva Peppino.

Abbiamo nominato il film “I cento passi” che ha dato enorme visibilità alla figura di Peppino, ma lei ha scritto un libro dal titolo “Oltre i cento passi”, che significato ha?
Dopo i “Cento passi” ci sono gli incontri con gli studenti, con gli insegnanti, ci sono episodi importantissimi avvenuti dopo il successo del film, di giovani che hanno deciso di cambiare la propria vita dopo aver conosciuto la storia di Peppino. Un ragazzo che diventa giudice, una ragazza che diventa giornalista. Ci sono gli incontri con tantissima gente, dal mondo dello sport, alla musica, alla cultura e anche con il mondo cattolico. Incontri che avvengono sia a Casa Memoria che fuori. Io ho voluto raccontare tutte queste cose soprattutto per i giovani.

20181116_215337Si dice spesso che le giovani generazioni non si fanno più coinvolgere da niente, non hanno ideali, lei che sensazione ha avuto in questi anni?
Io sono un ottimista inguaribile, anche se c’è molta difficoltà ad incidere sui giovani. I tempi sono cambiati, oggi si vive in un mondo quasi virtuale, i social usati in modo negativo, non a scopo sociale, non a scopo didattico. Nonostante tutto vedo dei segnali positivi. L’esempio di Peppino può aiutarli molto perché non è una storia come tutte le altre per i giovani. Lui non era un poliziotto, né un carabiniere, né un magistrato, era un giovane animato dalla grande voglia di giustizia, addirittura figlio di un mafioso che ha rotto con il sistema mafioso e con il sistema in generale. E i giovani si riconoscono in questa figura. Lo considerano in alcuni casi un mito, un’icona; questo però è sbagliato. Ecco perché il libro “Oltre i cento passi” è indicativo perché dobbiamo difendere Peppino talvolta anche dal film, perché non rimanga solo una figura eroica dobbiamo considerarlo un punto di riferimento più che un eroe.

La situazione rispetto agli anni ‘70 è cambiata? La mentalità delle persone è mutata? E lo Stato è riuscito a fare qualcosa per contrastare la mafia?
Ci sono stati cambiamenti, risultati legislativi efficaci per contrastare il fenomeno mafioso. Il 41 bis, il carcere duro ai mafiosi, la legge antiracket ma abbiamo dovuto aspettare l’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi, la legge sull’associazione mafiosa però abbiamo dovuto aspettare l’uccisione del generale Dalla Chiesa, la legge 109 sulla confisca dei beni mafiosi, legge venuta dal basso approvata grazie ad una petizione che abbiamo fatto noi con l’Associazione Libera. È cambiata anche la mentalità, la gente è meno condizionata, però c’è ancora molto da fare, non abbiamo fatto il salto di qualità di passare alla cultura della legalità. Ma dal punto di vista istituzionale secondo me si sono fatti dei passi indietro. Non a caso nell’ultima campagna elettorale, nessun movimento, nessun partito si è posto il problema della mafia. Il loro problema erano gli immigrati, senza invece pensare agli emigranti, cioè tutte quelle persone che vanno via dall’Italia. E ancora il governo non parla di costituire una Commissione antimafia e questo è gravissimo, dopo tutti questi mesi.

Sia dal film che dalle tante interviste rilasciate il ruolo di vostra madre emerge sempre in modo netto. Cosa ha rappresentato?
Nostra madre ha avuto un ruolo importantissimo fin dal primo momento quando Peppino inizia la sua ribellione, quando muore lo zio Cesare Manzella, lei già si rende conto che Peppino aveva ragione e non cerca solo di proteggerlo ma ne è anche complice. Non poteva fare molto perché era la moglie di un mafioso e madre di un militante che lottava la mafia. È stata una donna molto sensibile, che aveva capito tutto, quando le uccidono il marito e poi il figlio lei esplode, fino al punto che durante la veglia funebre del figlio lei non lo riconosce e pronuncia queste frasi che sono anche agli atti del processo “questo non è mio figlio, me lo hanno fatto a pezzettini”. Allora il cugino americano che era venuto a vendicarlo dice “Peppino sangue pazzo ma era uno di noi” ma lei risponde “No non era uno di voi e io vendette non ne voglio”. E lì fa la scelta importante, buttando fuori di casa tutti i parenti mafiosi. Da lì apre la sua porta che darà seguito alla costituzione di Casa Memoria. Una sua volontà che noi abbiamo portato avanti perché lei accoglieva tutti in quella casa, si rendeva disponibile, dialogava con i giovani. Si è posta sempre il problema della memoria. Mi diceva sempre che la memoria è importante, che avremmo dovuto raccontare la storia di Peppino come esempio per le nuove generazioni. Noi lo stiamo facendo e infatti abbiamo rinunciato all’eredità della casa mettendola a disposizione della società civile. Mia madre si sentiva fortunata per poter guardare negli occhi l’assassino di suoi figlio, la considerava una fortuna. Ho capito perché: perché lei si è liberata di un peso enorme. Non a caso quando c’è stato il confronto al processo, noi lo guardavamo in diretta e viceversa, mia madre appena vide l’immagine nel monitor gli puntò il dito contro e disse “sei stato tu ad uccidere mio figlio” e lui la sentiva. Quella frase era di una donna che aveva raggiunto il suo obiettivo. È una frase semplice però ha colpito molto il boss perché nel suo atteggiamento non c’erano sentimenti di odio né di vendetta né di rancore; questo atteggiamento ha messo in crisi il boss che aveva gli occhi umidi, me lo ha detto il presidente della corte. Noi ci siamo resi conto dell’importanza di questa donna, della sua sensibilità, della sua bellezza. Lei ha sconfitto il boss senza sentimenti di vendetta o rancore, ecco la lezione di mia madre.

Interessante dire che vostra madre ha voluto aprire le porte e voi continuate nell’impegno in un mondo in cui le porte si chiudono per la paura o si erigono muri di protezione.
Il gesto di aprire una porta è banale eppure è rivoluzionario. È una lezione di etica e di morale. Tu apri la tua casa e la metti a disposizione di tutti. Noi abbiamo rinunciato all’eredità della nostra casa, che è passata al Ministero dei Beni culturali, ma noi abbiamo la facoltà di gestirla. Lo abbiamo fatto in funzione della futura memoria, anche quella che porteranno avanti i miei nipoti se sentiranno il desiderio, altrimenti lo faranno gli altri, ma dovrà andare avanti così.

Mi sembra che dia lo stesso valore alla memoria come hanno fatto i sopravvissuti alla Shoah.
La Casa Memoria ha questa funzione. La casa del boss Badalamenti che è stata confiscata e affidata a noi ha questa funzione. Il casale dove è stato ucciso Peppino, che abbiamo salvato dalla demolizione, ha questa funzione. I luoghi fisici sono importanti, sono simbolici.

Per concludere, come definirebbe in una parola Peppino.
È difficile trovare una sola parola però direi che Peppino era ironico. Un clown. Il clown che intratteneva i bambini durante il carnevale. Il ricordo più bello. Mi ricordo che un giorno scomparve per un paio d’ore, insieme a degli amici eravamo preoccupati, non sapevamo più dove era andato a finire. Poi iniziammo a sentire un gran brusio in piazza, gran movimento di bambini, che gridavano, che ridevano. Un centinaio di bambini che in corteo inseguivano un clown. Noi pensammo fosse un attore pagato dal comune per intrattenere i bambini. Invece quello era Peppino. Ecco era questo Peppino.

 E così si conclude la mezz’ora a disposizione, troppo veloce come tutte le cose interessanti, ricca per i contenuti. Saluto Giovanni Impastato e Carlo Legaluppi. Salgo in macchina, il vento ora sferza sui finestrini, mentre giro per le vie del paese mi viene in mente la canzone Fearless dei Pink Floyd. Ecco cosa mi porto dietro, l’immagine di uomini e donne che senza paura lasciano un segno sulla terra, gesti piccoli quando si compiono, risultati enormi quando se ne raccoglie l’eredità.

“[…] non cammini mai da solo: cammina, cammina con la speranza nel cuore, e non sarai mai da solo a camminare”.

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