I libri Effigi su Manciano, Pitigliano, Sorano.

Ricordo di Aina Pavolini

image1 (1)E cosi l’autunno inoltrato ci ha portato via AINA, in una Germania, dove i figli l’avevano riottosamente convinta a rifuggire dalla fatica della sua casa/albergo di Usi/Murci e a rifugiarsi in una casa di riposo, non lontano da loro. L’avevo conosciuta a cavallo degli anni 90, in uno dei negozi d’antiquariato di Pitigliano. Cercavano, lei e il marito, una coppia da non perdere, dei mobili per la casa che avevano acquistato al Seminello. Lei alta, di pelle abbronzata, capello scuro, occhio vivissimo, sorriso spesso sbocciato in una coinvolgente risata, lui alto con questi baffi sottili, chiaramente e sapientemente arricciati , elegante faccia da intellettuale. Parlavano inglese tra loro. Li conobbi, quella sera stessa. Lui professore universitario di letteratura inglese insegnava a Bayreuth, lei, forse stufa del ruolo di moglie, cercava il sole e la protezione di un paese vibrante come all’epoca era questo pezzo di Maremma. Ebbi modo di apprendere la loro e poi la sua, di storie vissute. Con il marito era stata lungamente in Africa, nella Nigeria degli Yoruba, che lei era arrivata a considerare il luogo deputato della sua vita. Il marito insegnava all’Università, lei traduceva, ma sopratutto viveva. Apprezzava e ricordava l’umanità della popolazione locale, la loro cultura immediata e ricchissima di aneddoti, di facezie, di gioia di vivere. Aveva assorbito il gusto della loro cucina e se ne faceva vanto con gli ospiti, generosamente invitati nella sua casa che guardava verso Sud, con uno dei pochi terrazzi naturali che si scoprivano dalla curva d’accesso a Pitigliano. Era figlia del professor Pavolini, che aveva insegnato il sanscrito in Università prestigiose, come a Helsinki. Orgogliosa anche della targa che ricordava l’opera del padre in quella sede. Nel confuso itinerario della sua famiglia s’incontrava un Pavolini (Alessandro), ministro della Cultura popolare, poi coinvolto con l’ultimo fascismo e giustiziato a Dongo, ma anche un Pavolini esponente del Partito Comunista nel dopoguerra. E’ vissuta al Seminello, traducendo e spandendo per le vie del paese la sua eleganza, incomparabili i suoi tacchi alti, per la sua già alta statura dominante sul coro rispettoso delle donne, che l’adoravano, incarnando un destino mai visto e solo sognato sui rotocalchi dell’epoca. Aveva due figli adottati in Africa, molto amati, mentre col tempo, le differenze di carattere e di interessi con il marito americano Rick si erano accresciute e i contatti affievoliti, tanto da non vederlo più durante gli ultimi anni. Il suo interesse per la cultura, la letteratura, le buone letture, i contatti con alcuni autori italiani, ma sopratutto anglosassoni, di cui traduceva le opere, era costante. Proverbiale la sua curiosità per il mondo che aveva conosciuto, da Hong Kong dove aveva lungamente vissuto all’Africa che aveva intensamente amato. E poi il rigurgito di un sogno di pacificazione, di una nostalgia di una vita non più altezzosamente solitaria, si era fatta strada in lei. Vendette il Seminello ad uno scultore del vetro italiano, ma residente a Duesseldorf, cerco’ e trovo’ verso Usi/Murci, dietro Saturnia, una casa colonica con annessa porcilaia, che caparbiamente trasformo’, letteralmente con le proprie mani, in due abitazioni confortevoli, separate da una piscina, come per attirare, per gli anni del riposo, il suo letterato americano. Si sobbarco’ una disciplina ferrea per assicurare alla sua nuova creatura e speranza di vita, questo locale d’accoglienza internazionale, un livello come solo lei poteva garantire, al riparo, con la fama e il rispetto degli ospiti e degli amici, dalle inevitabili ferite del tempo. Se n’è andata, cara Aina, lasciandoci ricordi indelebili, una grande nostalgia per la sua nobiltà d’animo, per le sue storie, la sua cucina tradizionale con ingredienti e sapori orientali (dalla Cina alla Tailandia), ma sopratutto africani, di quegli amici Yoruba, di cui professava un rispetto smisurato e sincero. Abbiti il nostro totale, indelebile rispetto e la nostra riconoscenza nei luoghi dove ora rimane il tuo sorriso e la tua passione.

Bruno Brunetti

La Mandragola
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Parafarmacia
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