I libri Effigi su Manciano, Pitigliano, Sorano.

L’Associazione Castrense del 1848-1849

Un’esperienza risorgimentale nell’Alta Tuscia viterbese

castrenseLatifundo perdidere Italiam.
Il latifondo manda in rovina l’Italia.
Plinio il Vecchio.

Gli ultimi decenni della dominazione papale sui territori dell’alto viterbese, furono caratterizzati dalla famigerata tassa sul macinato e da una censura a dir poco medievale. Ma i nuovi vènti liberali determinarono, in particolare da parte dei ceti sociali più colti e abbienti, una notevole partecipazione ai principi rivoluzionari risorgimentali. Del resto la zona dell’alta Tuscia, un tempo governata dalla potente famiglia Farnese e che due secoli prima prendeva il nome di Ducato di Castro non aveva ancora dimenticato con quanto odio gli eserciti del Papa nel 1649 assediarono brutalmente la città di Castro, perla della Maremma, e dopo averla conquistata incaricarono una squadra di mercenari guastatori che in un mese intero la distrussero pietra per pietra. Tanto splendore lasciò il posto a macerie silenziose, e la sola cosa che ancora oggi resta in piedi è un triste cippo con iscritto “Qui fu Castro”. Come sempre i potenti ebbero modo di mettersi in salvo con doti e annessi, mentre a farne le spese fu il popolo, che sopraffatto dalla miseria più nera dovette rifugiarsi nei paesi limitrofi. Il documento costituente dell’Associazione castrense fu letto sulle rovine di Castro, luogo in cui l’odio secolare nutrito per il papa e per il potere temporale ecclesiastico mai ebbe pace. Riportiamo di seguito uno scritto di Gismondo Galli il quale descrive la nascente associazione risorgimentale. “In quest’anno 1848 si fonda l’Associazione Castrense. Questa associazione è composta dal fior fiore degli abitanti dei quattordici paesi che anticamente formavano il Ducato di Castro. Quasi tutti quegli uomini che per virtù, dottrina, per educazione e ricchezze si distinguevano ne facevano parte; ed uomini i più distinti vi erano soci onorari; fra questi basti citare Terenzio Mamiani della Rovere, Carlo Emanuele Muzzarelli, Vincenzo Gioberti. Fra i primi erano in Canino il principe don Antonio Bonaparte, Giuseppe e Vincenzo Valentini, Costantino D’andreis, Giuseppe Pala, Antonio Pala, Giovanni Toscani […] Scopo dell’associazione era quello di riunirsi una volta al mese per comunicarsi le idee, discuterle e concertare quello che ciascuno del proprio paese avrebbe dovuto fare per promuovere la istruzione la educazione e la moralità; in una parola l’incivilimento popolare. Ma, in seguito ai rovesci della prima guerra dell’indipendenza italiana, quest’associazione si trasformò in un circolo politico allo scopo di mantenere vivo, fra le popolazioni, il sentimento dell’unità d’Italia. Furono aggregati quali soci onorari anche Giuseppe Mazzini e Ledru- Rollin. Nell’anno 1848 addì 29 aprile la prima assemblea generale fu tenuta sulle rovine di Castro”. I patrioti in quegli anni si riunivano al Voltone, non lontano dalla dogana e dalla stazione di posta, così da poter ottenere celermente i rifornimenti in armi o materiale cartaceo ciclostilato oltre confine. In quegli anni i maggiori rifornimenti per i patrioti, armi, bandiere tricolori, materiale cartaceo sovversivo passava dal granducato di Toscana nel patrimonio di San Pietro con l’ausilio dei contrabbandieri. Le guardie papaline erano insufficienti e poco pagate, perciò dalle dogane della Monaldesca e di Centeno, dal Voltone tra Farnese e Pitigliano, fino a Cabalbio sull’Aurelia i contrabbandieri, per la maggior parte di Ischia di Castro, aiutati spesso dagli ebrei pitiglianesi, contrabbandavano ingenti quantità di merci, scatenando la somma furia di Pio IX. Si scriva sulla nostra bandiera: indipendenza o morte! Così esortava il proclama dell’associazione Castrense, galvanizzato dalla nascente repubblica Romana. Ma il sogno durò poco, spento dalle migliaia di soldati francesi che sbarcati a Civitavecchia e marciando su Roma con il Papa già fuggito a Gaeta la conquistarono, misero fine alla repubblica e ristabilirono l’ancien regime, che rimise Pio IX sul trono pontificio, nel 1850. Il Papa re fece raccogliere le liste dei cospiratori e costrinse subito all’esilio decine e decine di patrioti del viterbese: 30 di Farnese, 25 di Gradoli, 15 di valentano, 12 di Ischia e 12 di Latera. Nel 1860 il passaggio di Garibaldi nei pressi di Orvieto accese nuovamente le speranze dei risorgimentali, ma poi i trattati diplomatici tra Napoleone Terzo, il Papa e i Savoia concordarono che il viterbese sarebbe rimasto sotto la Santa sede, per la nuova delusione dei giovani ferventi rivoluzionari. Da li in poi in tutta la Tuscia si manifestarono atti di disordine e sabotaggio che perdurarono fino alla breccia di porta Pia e all’annessione al regno d’Italia. Un interessante documento, datato 16 marzo 1867, denunciava un certo Domenico Tiburzi, come aderente alla lega castrense. Questa fu una scoperta interessante, in quanto mostrò una veste allora inedita di colui che divenne il più celebre brigante che la Maremma ricordi. Non fu difficile per lui negli anni della latitanza procurarsi decine e decine di manutengoli, sfruttando l’odio contro il nuovo regime sabaudo, e facendo leva sulla miseria che non risparmiava nessuno. Molti nomi, anche autorevoli, finirono successivamente sul banco degli accusati nel maxi processo contro il brigantaggio, tenutosi a Viterbo. Le speranze riposte nel nuovo regno d’Italia furono tradite con disprezzo dal nuovo governo, che altro non fece se non togliere gli usi civici che sostentavano gran parte della popolazione e sostituire le guardie papaline con i carabinieri reali. La terra non fu distribuita ai contadini, le rivolte dei braccianti furono spente nel sangue, mentre la corruzione dilagò fino a sgretolare qualunque ideale di cambiamento. La storia dell’Italia unita fu pesantemente deviata dai propri ideali fin dall’inizio, e ancora oggi paghiamo le conseguenze di quelle scelte che ancora una volta favorirono i latifondisti, i quali anzi ne uscirono rafforzati, mentre il popolo si ritrovò in una miseria ancora più nera. E fu in questo stato di cose che il brigantaggio prosperò nella Maremma Tosco Laziale, e a mitizzare banditi come Tiburzi, Biagini e Fioravanti non furono tanto le loro imprese, quanto l’odio che la gente nutriva per il nuovo ordine di potere, il quale aveva tradito ogni promessa fatta in precedenza.

Luca Federici

La Mandragola
Palestra Lifestyle Pitigliano
Parafarmacia
Podere Bello
Distributore Agip Dondolini
Monica Lavazza
Locanda del Pozzo Antico
Maremmama'
Lombardelli Arredamenti
Bar Il Golosone
Pelletteria Grifoni
Unipol Sai Assicurazioni
Tisi Fotografia
Kaloroil